I FIGLI.

I figli escono con dolore

dalla porta del corpo della madre.

E’ un dolore che si dimentica subito

trasformandosi in amore.

Poi crescono,

giorno dopo giorno,

si viaggia insieme

nello stesso habitat.

Arriva il momento

che tocca aprire un’altra porta.

Madre,

i tuoi figli hanno radici

fatte di carne della tua carne,

ma non sono tuoi

perché hanno anche ali grandi

fatte di sogni, di vento di futuro.

I figli devono uscire,

volare via, volare in alto.

Devono ancora una volta

uscire da te.

Stavolta è un dolore

che non si dimentica,

ma che conforta

e di cui ci si compiace:

se volano ce l’hanno fatta.

Ce l’hanno fatta

e  tu insieme a loro.

(Tosca Pagliari, 22 agosto 2019)

Il postino e lo smartphone.

 

La meraviglia dell’odierna tecnologia è anche che in tempo reale ci si può collegare con tutti in tutto il mondo. Ci si può scrivere, parlare e anche … vedere!

Questo dovrebbe facilitare molto le relazioni sociali e affettive.

Per i nativi digitali è un fatto scontato utilizzare i diversi dispositi, le varie applicazioni e i numerosi vari social net work, per comunicare. Avere un partner e portare avanti una relazione amorosa è semplicissimo, è come tenerlo sempre in tasca insieme allo smartphone.

Eppure non molto tempo fa tutto questo non c’era e se ci ripenso oggi pare impossibile che la mia generazione sia riuscita comunque a comunicare  anche a distanza.

I bigliettini mandati col passa mano, notizie varie col passa parola, il fischio speciale di chi passava un attimo sotto il balcone. Immagino i giovani leggere tutto questo e sorridere come se si trattasse di un romanzetto rosa dell’Ottocento.

E poi c’era il postino! Lo vedevi da lontano e il cuore andava a mille. Si fermava davanti alla tua porta e  ti si fermava pure il cuore nel vedere estrarre la tipica busta dell’air mail contornata da striscette rosse e azzurre. Il postino era una sorta di eroe, di essere soprannaturale, qualcuno a cui veniva affidato il proprio destino. Non è un paradosso, perchè una lettera che si perdeva, che non arrivava, rischiava sì di cambiarti il destino.

Cari giovani e giovanissimi, dato che oggi è tutto più facile e immediato, che del postino non avete di che farvene ( tranne che non vi recapiti il pacchetto della merce ritirata on line) non date tutto per scontato.

Si dà più valore a ciò che si conquista con sacrificio e difficoltà, meno a ciò che è facilmente raggiungibile, facilmente rimpiazzabile.

Se penso alla mia giovinezza con un ipotetico smarphone, me la immagino completamente diversa e diverso pure il mio modo di essere. Invece avevo il postino, il telefono fisso, ma di più quello a gettoni e il tonfo di ognuno che andava giù mi dava un pugno allo stomaco.

A volte mi chiedo se sarei stata più felice ad avere quello che si ha oggi? Non mi so rispondere.

Di certo so che oggigiorno se manca la connessione Internet manca il fiato anche a me che respiravo a pieni polmoni alla vista del postino.

La scrittura è femmina, anzi donna.

La scrittura di una donna è qualcosa di potente, meglio di prepotente. Come scrive una donna? Scrive col cuore, con la testa, con l’animo, con tutte le intercettazioni del proprio corpo. Ma una donna non si siede e scrive ininterrottamente ed esclusivamente. La donna scrive a “lascia e riprendi”. Che c’è di strano? C’è che non è facile lasciare e riprendere quando stai lì nell’attimo creativo. Chi crea a tutti i livelli e in tutti i settori lo sa. Il momento è creativo è qualcosa che non si può e non si deve rompere perchè è lì in quel preciso spazio temporale e dopo nulla sarà come prima. Ma una donna può. Lei sa crearsi una sorta di bolla dove congela l’effetto e poi torna a riprenderselo e a plasmarlo di nuovo.

La donna scrive in tutti i buchi del proprio tempo. Scrive mentre mantiene attive le antenne a tutto ciò che la circonda dentro e fuori la propria dimora, la propria persona. Scrive tra le incombenze familiari, domestiche, burocratiche, lavorative. Per fortuna la natura l’ha dotata di astuzie o meglio strategie o meglio ancora di una innata funzione multitasking che la rende capace di quel “lascia e riprendi” senza danneggiare nulla.

E ci sono state donne che hanno scritto dei capolavori in passato quando la mancanza della tecnologia rendeva tutto più difficile. Scrivevano a mano, a lume di candela, magari col pupo attaccacato al seno. Senza la facilità di un computer scrivevano su un quadernino che prendevano e riponevano in un cassetto, prendevano e riponevano, riponevano e riprendevano, magari appena dopo essersi asciugate le mani nel grembiule.  Poi, in alcuni casi, si sono dovute inventare un nome da uomo, uno pseudonimo maschile come garanzia di intelligenza. Peggio ancora, alcune  donne hanno lasciato acquisire ai mariti la proprietà del loro ingegno perchè era l’unico modo per rendere l’opera pubblica, credibile e magari fonte di guadagno. Eppure  le donne hanno scritto, hanno fatto anche loro la storia della letteratura. Perchè una donna quando vuole scrivere scrive e non la ferma niente e nessuno.

Una donna non si lascia fermare neanche la sua stessa femminilità, ora, che scrive usando un pc, può tenere facilmente in posa lo smalto sui tasti mentre freneticamente la creatività va a gonfie vele. Smalto e creatività pensate che non vadano d’accordo? La vanità da una parte e il pensiero profondo dall’altra, insieme al galoppo su una tastiera? Sì è possibile, per una donna è proprio possibile.

Qualcuno vuole smentire? Qualcuno vuole confermare? Dite pure.

UMANA PIETA’ O ISTINTIVA FEROCIA?

Ecco il dilemma dopo aver sottratto la malcapitata lucertola al mio gatto. E lui poi quanto ha pianto! Sì, sì piangono anche i gatti con miagolii laceranti.

E’ che a me la lucertola faceva pena mentre lui assecondava il felino istinto.

Ne consegue che ho alterato le leggi della natura.  Così mi rimane il dubbio della validità del mio agire.

Di dubbio in dubbio la mia coscienza ha cominciato ad innescare conflitti tra filosofia, teologia, etica, scienza, sentimentalismo, trasgressione, rivoluzione…un calderone che con le temperature odierne ha iniziato a bollire e a spandere fumi.

E tutto quel che ora mi viene da sintetizzare è che siamo tutti quanti fumo sparso nel vento.

Ho pensato che l’essere umano dotato di ragione, in quanto “specie superiore” (mah!), avesse tutto il diritto di manipolare le leggi scomposte della natura.

Ho pensato che un’opera di creazione che non prevedesse alcuna catena alimentare, ma solo esseri già  autonutrienti, bilanciati nella quantità mondiale e fatti perire di serena vecchiaia, sarebbe stato molto meglio.

Ho pensato che bisogna sempre intervenire, con le proprie capacità, per evitare una qualsiasi tragedia (anche la morte di un’ innocua lucertola).

Ho pensato alla scala evolutiva, agli animali dominanti rispetto ad altri, alle leggi naturali di salvaguardia e di equilibrio.

Ho pensato che trasgredire alle regole della natura e metterci il proprio operato ci dia un gradevole senso di potenza.

Ho pensato che con tutto quello che ci sarebbe d’aggiustare al mondo magari bisognerebbe cominciare a fare una rivoluzione ( a partire dai diritti della lucertola, o dai diritti del gatto?).

DELIRIO!

Delirio di tutto questo pensare che alla fine ha portato solo il bollore del caldo e la mia testa fumante.

Di certezze non ce ne sono, di giustizie ne mancano tante.

Sapete che vi dico, ho salvato una lucertola e non me ne pento. Ho fatto torto al gatto e non me ne pento. Del resto quando si salva qualcuno magari tocca fare torto a qualcun altro. Sugli odierni fatti di cronaca non mi voglio soffermare perchè già di tutto è stato detto compresi sproloqui e vaniloqui.

Mi fermo qui alla lucertola e al gatto che con la ciotola piena è stato costretto a risparmiare una vita. Prendetela pure come metafora che tanto non guasta.

Vedete quel che possono combinare un gatto e una lucertola ad una che come me finalmente si ritrova in vacanza!

Era tanto che mancavo da questo blog. Adesso spero di rimettermi spesso all’opera. E se chi ha avuto la forza di leggere fin qui  ne trovasse un altro pochino per esprimere il proprio parere ne sarei lieta.

Alla prossima.

Tosca Pagliari.

 

 

C’ERA UNA VOLTA IL CARNEVALE IN SICILIA

…nel periodo di Carnevale.

Era d’usanza che tutti si travestissero, qualunque fosse la loro età o il loro ceto sociale. Ogni famiglia formava il proprio gruppo in maschera creando originali e grotteschi contrari. Gli uomini si camuffavano da donne e le donne da uomini, i giovani da vecchi, i vecchi da giovani, i bambini da adulti, gli adulti da bambini. Uomini ciccioni diventavano gestanti, uomini minuti indossavano candide vesti nuziali con tanto di velo e strascico. C’erano ammalati con medici e infermiere che gli correvano dietro, funerali in grande stile con tanto di lacrimoni. Ed ancora monache, preti, fraticelli scalzi…

Per ogni travestimento non si spendeva al di là di qualche sacchetto di coriandoli o una maschera grottesca, il resto lo si racimolava rovistando nei bauli ed assemblandolo con molta fantasia. Si trattava dei cosiddetti frasciami (robaccia). Naturalmente la tipologia di tali maschere era infrasciamati (malvestiti).

Anche Ada fece parte di un gruppo, travestita da vecchietta ingobbita, con i capelli imbiancati di farina e le mani sporche di carbone.

Andavano di dimora in dimora, parlando con voce camuffata ed invitando chi li ospitava al riconoscimento. Le donne travestite da uomini cercavano di toccare di seni delle donne di casa, le quali nel dubbio si ritraevano tra lo scandalizzato ed il divertito. Alla fine si abbassavano le maschere anche se non avevano indovinato chi fossero.

Malanova, vadda cu era: cummari Vera vistuta di carrabineri! E sta picciridda ca pareva na vicchiaredda pi ddavveru! Pigghiativi i chiacchiri, seriu i fici, i frii stamatina, ma pinsava sta mpruvvisata. (Per mala novità, guarda chi era: comare Vera vestita da carabiniere! E questa bambina che sembrava una vecchietta per davvero! Accettate “le chiacchiere”, le ho cucinate apposta, le ho fritte stamattina, me la immaginavo questa visita improvvisa.)

E di biviri chi ni duni? (E da bere che ci offri?) – diceva lo zio, ormai smascherato con l’ampia camicia da notte e vestaglia femminile.

Vinu, vinu bonu. Servitivi (Vino, vino buono. Servitevi).

Ju vinu nun ni bivu (Io vino non ne bevo) – annunciava la zia davanti al vassoio preparato con un certo numero di bicchieri.

La padrona di casa rispondeva:

Allura chi ci dugnu? A jazzusa, comu i picciriddi? (Allora che le offro? La gazzosa come per i bambini?)

Poi rivolta alla bambina e dopo a tutti gli altri:

Teni bedduzza: biscotti i casa, carameli di carrubba, licca licca. Ma pigghiatini magari vui, ca oggi semu tutti carusitti! (Tieni bellina: biscotti di casa, caramelle di carruba, lecca lecca, Ma prendetene anche voi, oggi siamo tutti ragazzini!)

Durarono quei Carnevali giocosi fino a quando durò la genuinità della gente. Venne il tempo che giovanotti senza scrupoli approfittassero dei travestimenti per entrare nelle case e depredarle, con tanto spavento degli abitanti, degli averi più o meno costosi che riuscivano a trovare. Nessuno allora a Carnevale aprì più la porta ai “mascherati”.

Rimasero solo le sfilate dei bambini con costumi sempre più sontuosi.

(Tratto dalla nuova edizione “Le foto salvate” di Tosca Pagliari”)

SIGNIFICATI ANTICHI E MODERNI

Ultimi giorni di scuola, caldo e  stanchezza, molta stanchezza. Alunni, irrequieti più del solito, che puerilmente litigano scambiandosi infinite accuse. L’insegnante estenuata esordisce dimentica di una giovanissima platea:

_ E basta con queste FILIPPICHE!

Silenzio improvviso, magnifico silenzio, ma occhi sgranati ed espressioni esterrefatte degli alunni fanno comprendere che necessitano spiegazioni. Così la maestra:

– Per FILIPPICHE intendevo  in senso metaforico. Infatti erano una lunga serie di accuse  scambiate tra alcuni oratori dell’antica Roma.

Un velo di delusione cala su tutte le facce degli alunni.

Uno di loro, che non ce la fa a non dire sempre la sua, con una vocina acuta replica:

– E io che pensavo che tu ti riferissi a MARIA DE FILIPPI!

DI DOMENICA MATTINA

Di domenica mattina

mi ha svegliata la tristezza:

-Alzati è giorno, c’è il sole

eppure vieni con me.

-Sono già con te

resto qui

non faccio nulla

non piango neanche

sto ferma.

 

Mi ha svegliata la tristezza:

-Alzati!.

-Perché?

Dimmi un solo

valido

perché.

 

Mi ha svegliata la tristezza:

-Perché sei di natura

dispettosa

e prepotente

e riderai

per non darmi soddisfazione

riderai forte

per confondere

il mio alito infelice.

Combatterai

e a me piace

vederti combattere

io godo

a vederti dimenare

tra circostanze

e risoluzioni

con l’animo imbellettato

a somiglianza

d’una finta espressione.

 

 

Mi ha svegliata la tristezza

e non volevo

essere svegliata

volevo dormire

nell’apnea dei pensieri

volevo dormire

il mio sonno sottovuoto.

 

Mi ha svegliata la tristezza:

-Combattimi,

ma dammi soddisfazione

combattimi

a mani nude,

combattimi

dentro il tuo silenzio

e la tua follia

soprattutto

combattimi lealmente

senza usare

la tua arma segreta.

 

Mi ha svegliata la tristezza

ma io sono di natura

dispettosa

e prepotente anche

e tremendamente

sleale.

Io scrivo.

(Tosca Pagliari- Maggio 2018)