FILOSOFIA DEL CALZINO BUCATO

QUEL CHE PUO’ VENIR FUORI DAL BUCO DI UN CALZINO

Volevo buttare via tutto il paio per un buco in uno dei due calzini. Bucato, via! Poi ho provato un senso come di pena. L’altro era ancora intatto e strutturalmente stavano bene tutti e due. Ago e filo e l’ho ricucito. Mentre davo i punti, per riunire i lembi dilaniati e distaccati, anche i miei pensieri si cucivano uno dopo l’altro. Stavo rammendando ( etimologia di: dare ammenda, riparare un danno) e pensavo a come spesso si buttano via i rapporti tra le persone per non sapere scusare o chiedere scusa, per non sapere compatire gli errori, per non sapere trovare un “punto” d’incontro così come dà il punto l’ago, che s’infligge e punge, ma cuce e ripara. Allora ho riflettuto sul fatto che un tempo la gente era più incline a rammendare tessuti e rapporti umani. Era gente che conosceva l’arte dell’umiltà, non faceva sprechi, non ostentava appariscenze. Sì, perché tutto finisce per traslare da un significato ad un altro, il fare diventa diventa pensiero, l’abitudine si fa consuetudine. Viviamo nell’era del comodo, del sempre nuovo, del tutto perfetto e lo applichiamo ad ogni evenienza. 🧦

Ecco è la filosofia del calzino bucato.🧦

Tosca Pagliari ( novembre 2022)

ECONOMIA DEL DOLORE

Ti arriva un dolore e lo scansi perché non ce la fai a sopportarlo. Lo congeli da qualche parte e fingi che non ti appartenga. Non ti senti più forte e neanche vigliacca, lo rimuovi e basta per proseguire. Poi nel tempo arrivano tutti gli altri e più o meno fai la stessa cosa. Succede che un debole raggio di sole, sotto forma d’immagine o di parola o di qualsivoglia altro effetto rievocativo, te lo scongeli e te lo ripresenti caldo caldo e terribilmente attuale. Allora eccolo di nuovo lì e ti trova più sprovveduta che mai. Nessuno può neanche comprenderti perché i fatti ormai sono inimmaginabili al resto del mondo. È lì che capisci pienamente come risparmiarsi il dolore sia un atto di coraggiosa e rischiosa economia di vita.

Tosca Pagliari ( novembre 2022)

FATALISMO SETTEMBRINO

Ho imparato ad essere miope, a guardare il tempo solo oltre la punta del naso senza sforzarmi di focalizzare lontani orizzonti.

Ho imparato a non stare di vedetta per tutto quello che arriva da lontano perché tanto, quando sarà il momento e quel che era in viaggio avrà finito lo stesso col bussare alla porta avrà pure già cambiato forma.

Non sto più col collo lungo della giraffa, ma con la finta pigrizia e zampata ponderata del felino pronto al balzo solo quando sarà il momento.

Tanto non c’è fretta né anticipazione né precauzione che tenga perché quel che dovrà accadere accadrà.

Tosca Pagliari (Settembre 2021)

QUESTA È L’ESTATE

Nei cassetti la roba è calda come appena stirata.

Sui muri della casa ci si potrebbe friggere un uovo o arrostite una bistecca.

Andare scalza sui pavimenti fa l’effetto spiaggia.

I gatti sono così affranti che si lasciano piacevolmente innaffiare insieme alle piante.

Questa è l’estate.

La rovente estate .

Stanotte non si muove foglia.

Il cielo è pieno di stelle, qualcuna già l’ho vista cadere. Doveva essere una di quelle che fanno le prove in attesa dello spettacolo di San Lorenzo.

Uno dopo l’altro gli aerei viaggiano con le loro lucine che si spostano nel cielo nero. In pochi minuti ne sono passati già quattro.

Ma dov’è che vanno?

Questa è l’estate.

La magica estate.

La libertà è stare quasi del tutto svestiti. Leggerezza sulla pelle. Movimenti fluidi.

Il sudore evapora gli umori, anche il dentro si libera.

L’orologio scorre il tempo per conto proprio. Si va al ritmo che si vuole e non si rincorrono più anche i secondi.

Questa è l’estate.

La libera estate.

E mi piace.

Le zanzare saranno partite anche loro. Non se ne sentono ronzare o pizzicare.

Del resto di giorno ci sono così tante rondini. Si posano sui fili della biancheria ed emettono suoni. Note viventi sul ” bigramma” del mio balcone.

E le zanzare forse più che partite saranno state mangiate da questi uccelletti affamati.

Le pomelie profumano sempre e il basilico vorrebbe sovrastarne l’aroma. Creano un mix piacevole. Ma lo sanno i guru dei profumi? Chissà se dirglielo o no. Queste fragranze così soavi reinventate e imprigionate in ampolle di discutibile design. Meglio lasciar perdere.

E questo capita tutto d’estate perché è questa l’estate.

L’estate in tutti i sensi.

Tosca Pagliari-agosto2021

RESTEREMO SOTTO FORMA DI PAROLE …

Fino a qualche anno fa, su questo mio blog scriveva assiduamente un poeta, scrittore, fotografo, pittore e psicologo. Una persona stupenda di grande sapere e di grande garbo. È stato una grande ricchezza culturale e creativa. L’avevo conosciuto tra i circuiti culturali on line e mai ebbi modo né pensiero di incontrarlo di persona. Poi è finito il suo tempo terreno così quasi all’improvviso.

Sembrava dovesse lasciare un vuoto ed invece ha lasciato un archivio di profondi pensieri sparsi nello spazio immateriale di questo blog e di riflesso nello sconfinato spazio dove fluttua oramai lo scibile umano.

E mi piace quest’idea che andremo via, ci dematerializzeremo, eppure resterà il prodotto della nostra mente dentro la scatola dell’universo. Basterà una parola chiave per aprire l’accesso, una sorta di gate del ritorno, e fare baluginare una scintilla di noi.

Resteremo sotto forma di parole, immagini e suoni galleggianti in attesa di quella ragnatela virtuale che ci intrappoli e ci faccia tornare in qualche modo vivi, per rimetterci a contatto col mondo reale.

Tosca Pagliari ( gennaio 2021)

IO E LA SCUOLA DI IERI E DI OGGI, PROPRIO OGGI 22 MARZO 2020.

 HO IMPARATO A SCRIVERE.

Ho imparato a scrivere con strumenti complicati: matite che si spuntavano in continuazione, pennini intinti nell’inchiostro che gocciolava o schizzava dappertutto, stilografiche da ricaricare a siringa e poi a cartuccia. Finalmente la penna biro! Poi la prima dattilografia, tic tac-tic tac  con due dita e attenta a non fare errori se no toccava cambiare foglio e ricominciare tutto daccapo. La seconda dattilografia col corso specializzato, dieci dita e via senza guardare la tastiera con la macchina elettrica che filava silenziosa e il cronometro e le gare di velocità nelle competizioni nazionali. Ma anche lì se si sbagliava era un pasticcio. Finalmente il primo computer e la meraviglia di poter sbagliare senza ansia, poter correggere facilmente, integrare, tagliare, copiare, incollare parole e brani. E via sempre più all’avanguardia con il correttore ortografico, con la connessione Internet e con i vocabolari in un clic. Ecco ora penso che sia stato meglio così senz’altro. La “bella calligrafia”  è diventata una pratica estetica non necessaria. Si può anche essere  mancini e disgrafici senza che nessuno ti leghi la mano incriminata, ti pianti una bacchettata, ti metta dietro la lavagna o le orecchie d’asino sulla testa. C’è il PC come strumento compensativo e tutto è risolto. Si è quasi perso un tipo di manualità e se ne è adottato un altro. Le dita sanno fare altro: battono sui tasti, trascinano il mouse, cliccano, usano il touch screen e regolano scivolamenti e pressioni per il perfetto utilizzo dei nuovi strumenti. I nativi digitali sono dei fenomeni. Quelli che come me vengono dal lapis ( che la matita nei miei tempi e nei miei luoghi la si chiamava così) sono anch’essi dei fenomeni di adattamento evolutivo. E mi piace che tutto questo  sia diventato la normalità odierna, lo trovo un bene, un vantaggio, una vera e propria fortuna, indietro non ci tornerei.

HO COMINCIATO AD IMPARARE A FARE L’INSEGNANTE E NON HO MAI SMESSO.

Avevo il gesso e la lavagna, la mia voce, la mia gestualità. Poi ho tirato fuori le prime cassette registrate con i nastri che si ingarbugliavano e si rompevano sul più bello. Poi  ancora i CD, i DVD  e i dispositivi USB con relativo PC naturalmente. E ancora la LIM  e i tutorial didattici, i filmati … Una meraviglia! A volte si ha la sensazione di andare col pilota automatico, ma non è così perchè l’insegnante è sempre lì che media la situazione. L’insegnante c’è, la classe c’è, tutti in carne ed ossa presenti e reali. E mi piace.

ADESSO STO IMPARANDO A FARE L’INSEGNANTE IN EMERGENZA.

Ieri sera, al TG straordinario, il Primo Ministro ha detto che stiamo vivendo il momento peggiore dal secondo dopoguerra. Un brivido. Io le difficoltà del secondo dopoguerra me le ricordo per i discorsi dei miei genitori e dei miei nonni e mi pare quasi d’averle vissute. Così la cosa mi sgomenta alquanto.

Con la pandemia del coronavirus e le scuole chiuse ci tocca optare per una didattica a distanza. Sto imparando nuove metodologie navigando tra piattaforme varie. E’ una fortuna che ci siano in questo momento tali alternative, così com’è  stata  una fortuna tutto il percorso tecnologico. Ma spero con tutto il cuore che questa modalità sia un’emergenza passeggera e non diventi mai  e poi mai la normalità.

Non rimpiango i tempi del lapis, sostituiti dai tempi della tastiera del PC o del touch screen, perchè gli strumenti sono un conto e l’umanità un altro conto. Perchè la lezione viva è viva davvero. La lezione “live” con questo corrispettivo inglese è viva per finta, per comodità, per non poterne fare a meno.

Specialmente se si ha a che fare con i bambini occorre lo sguardo diretto, il gesto ravvicinato, il calore, l’odore, la presenza necessaria a garantire il senso della realtà, della protezione, dell’umanità. Anche con gli strilli e i momenti di tensione, anche quelli sono realtà da imparare a gestire, a condurre verso livelli più ragionevoli e appaganti. Correggere un compito gomito a gomito spiegando, confortando e invogliando non è affatto la stessa cosa che segnare errori su un compito a distanza e nella migliore delle ipotesi inviare un commentino d’accompagnamento con tutti gli sforzi possibili ed immaginabili richiesti.

La didattica a distanza è per dire ai nostri alunni che se siamo distanti non siamo lontani perchè in qualche modo ci possiamo avvicinare. E’ per fare capire loro che la scuola non è perduta, che i compagni si possono in qualche modo ritrovare e che gli insegnanti non abbandonano nessuno. Non abbandonano nessuno con tutta la loro tenacia. Eppure sarà difficile arrivare alle fasce più deboli, a chi ha gravi handicap, a chi, tutt’oggi, non ha mezzi tecnologici, ma ancor prima dei mezzi la serenità e la necessaria tranquillità organizzativa.

Che in futuro tutto questo non sia davvero la normalità. Anche se  quello che stiamo imparando ci potrebbe sempre servire per gemellaggi di classi con alunni di altri luoghi, per andare incontro ad alunni che per motivi di salute non possano frequentare per un periodo la scuola… e così via per altre ragioni al di là della prassi quotidiana.

Se ne potrà fare tesoro di questo corso d’aggiornamento  improvvisato e intensivo (chiamiamolo così), ma che non ci sia un futuro dove la didattica a distanza diventi la prassi comune e gli insegnanti,così come eravamo fino qualche settimana fa, non diventino, agli occhi delle nuove generazioni, come il pennino intinto nell’inchiostro è rimasto ai miei occhi.

Intanto mi voglio nutrire di ottimismo e prospetto la mattina del primo giorno che tornerò a scuola con i miei alunni. Sarà come un primo giorno di scuola in assoluto, un giorno felice da ricordare per sempre e, per prima cosa, canteremo tutti insieme.

Arriverà anche questo domani. Tocca solo aspettarlo con fiducia.

(da Liberi Pensieri di Tosca Pagliari – 22 marzo 2020 secondo giorno di primavera)