Una sera, forse, si fece lo sfoglio in diretta via radio, perché il nonno era attento ad ascoltare sfilze di nomi a non finire ed anche lei finì per memorizzarne alcuni, quelli che le parvero più buffi perché davano l’idea d’essere allo zoo: Leone, Cicogna, “Sarà gat”.
– O che tu ridi bimba?
– O nonno, ma son nomini tanto strani e perché “sarà un gatto”?
Il nonno rise fino alle lacrime con la sua bocca sdentata. Pareva un bimbetto alla prima dentizione, ma con la faccia avvizzita. Diceva di non volersi fare una dentiera come Pia perché tanto ormai gli restava ben poco tempo da masticare che non valeva la pena far arricchire il dentista.
– L’è bella codesta: “Sarà un gatto”!
– Non si dice mica così. Saragat è un cognome e si scrive tutto attaccato e con la lettera maiuscola. Che stai a sentire “Sarà gat”?
Puntualizzò Irina trovando sconveniente che la figlia dicesse stupidaggini.
Il nonno però ci aveva preso gusto ed anche la nonna se la ridacchiava tutte le volte che sentiva quel cognome. Ada avrebbe voluto stare a sentire per chissà quanto, ma si fece tardi ed il nonno sbadigliando disse:
– Mi pare sia l’ora che arrivano i Pisani, e quella l’è l’ora che i bimbi vadano a dormire.
– Ma mi garbava ‘osì tanto!
– A letto e senza fare storie, che si son consumati già troppi ciocchi al foco! Via, si va tutti al caldo sotto le coperte.
Sentenziò Pia e non ci fu nulla da fare.
La mattina dopo, Ada si svegliò al calduccio del letto. Dai vetri della finestra si scorgeva qualche fiocco di neve, dal pian terreno giungeva l’odore del pane tostato sulla brace del camino e del caffè d’orzo fatto bollire nel bricco d’alluminio.
Il nonno entrò dalla porta della camera. Aveva un cosino in mano tutto intirizzito e la gatta di casa gli andava dietro miagolando.
– Madonnina…, bada te se doveva andare a fare i figlioli in soffitta con codesta gelata, madonnina…, Son tutti belli e stecchiti, ma almeno la tu’ nonna non dovrà affogarli nella fogna. Non c’è mica di che scegliere stavolta, o campa questo qui o non se ne fa nulla. È tutto diaccio marmato, proprio freddo come il marmo anche questo e mi pare bello che stecchito, ma mettilo lì nel tu’ letto, magari al caldo rinviene.
Ada lo tenne sotto le coperte lisciandogli delicatamente la tenue peluria, dopo un po’ capì che si era mosso e ne ebbe conferma quando udì un flebile gnaulio. La gatta balzò sul letto, cominciò al leccarlo tutto e dopo prese ad allattarlo.
Ada allora si alzò, si ficcò un pesante maglione sopra il pigiama, calzò le ciabattine imbottite di lana e scese in cucina affamata e vogliosa di quelle fragranze mattutine.
– Vieni bimba, su che si mangia – le disse il nonno.
– Lo sai che il gattino s’è ripreso.
– Ben per lui. E lo sai che anche quell’altro gatto ce l’ha fatta.
– Quale gatto?
– Quello di ieri sera alla radio, è Presidente d’Italia.
– Davvero? Sarà gat è Presidente?
– “Saragat”!
Corresse la madre con voce perentoria …
E il nonno:
…– Dai si torna su a vedere il gattino. Ma te ci pensi? “Sarà gat” e poi due gatti in un colpo solo!
Brano tratto da “Le foto salvate” di Tosca Pagliari
Non vado lontano, secondo il metro dei miei multi decenni, per dire che trent’anni fa o poco più eravamo d’altra natura.
Ci mancava quell’estensione, quell’organo esterno e vitale dove pulsa l’intera sostanza dell’odierno vivere: la piatta e magica scatoletta. Indispensabile scatoletta con la quale orientarsi nel tempo e nello spazio, avere la cognizione dello scibile, la conoscenza di tutte le lingue, le ricette e i consigli per tutte le evenienze, l’intrattenimento sotto ogni punto di vista, la soluzione per ogni pratica esigenza, la comunicazione immediata e visiva con chiunque in ogni parte del mondo, il pass per ogni passo.
Di che solida natura eravamo allora senza tutto questo me ne stupisco solo adesso! Soprattutto ci mancava quella facoltà mentale, la tuttologia, derivante dall’impianto di questo nuovo organo. E stranamente avevamo meno dubbi, eravamo più fiduciosi nella scienza che ci propinavano, più coscienziosi d’una coscienza individuale e non collettivamente indotta.
Ma adesso siamo connessi, interconnessi e forse più disconnessi dall’originaria natura. Chi l’avrebbe mai detto!