
C’era un cielo livido e sinistro
fatto di nubi di sporca gommapiuma
che schiacciavano le chiome sventagliate
dei centenari pini marittimi.
Un cielo denso e pesante
che il vento di maestrale
pur impazzando con rabbia
non riusciva a morderne
neanche un lembo.
Riusciva solo a sollevare il tendone bianco
dell’accampamento sanitario
al punto che dovettero smontarlo.
Le macchine in coda
si muovevano lente
di tanto in tanto
in mesto corteo.
Un paio di giovanissime astronaute
si avvicinavano a turno
porgendo con gesti quasi mistici
strumenti e sostanze rivelatorie.
Tutt’intorno mura di cemento
sormontate da ringhiere
cancellate a ridosso di strade
larghe e viscide
budella di circuiti industriali.
Se fosse stato un film di fantascienza
l’avrei spento piena di disprezzo
per la pessima ambientazione.
Invece è rimasto acceso
insieme al rombo del motore
che fuggiva via dalla scena
ma non dalla realtà.
E anche voler piangere
sarebbe stato non so quanto stupido
perché era soltanto il caso di procedere
che da che mondo é mondo
in qualche maniera
sempre si procede.
Tosca Pagliari (gennaio 2021).
Per ricordare la pandemia quando sarà finita e vorrò esserci a testimoniarne l’inizio ma anche la fine.